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STONER – John Williams

Questo è il primo romanzo di John Williams che leggo. Stoner lo avevo nella lista dei desideri, poi è passato nella pila dei libri da leggere e finalmente si è mosso tra me mie mani, sul divano, posato sul comodino, a fianco della mia tazzina di caffè, in borsetta. sull’asciugamano davanti al mare.
Si è inserito, dopo le prime trenta pagine, tra i romanzi che ho amato di più leggere in questi ultimi anni. Ho seguito tutto d’un fiato la vita di William Stoner, ho davvero attraversato un’epoca e una miriade di sensazioni e di sentimenti, come non mi accadeva da tanto tempo.
Il bello di questo autore è che sono entrata immediatamente in sintonia con la scrittura di Williams che si presenta pulita, semplice e al contempo dotata di poesia. Lo stile accompagna il lettore attraverso il tempo, assumendo i connotati del classico in cui si riconosce un paradigma rassicurante, che riporta a casa, ogni tanto si ha bisogno di una lettura di questo tipo. Ci sono descrizioni di attimi, secondi che sono appartenuti a tutti noi, che ci legano gli uni agli altri. Amore e morte declinate nelle loro sfumature più sottili. La letteratura per me rappresenta questo fil rouge che non conosce tempo o spazio, ci trasforma perché ci apre gli occhi e ci dice chi siamo stati, chi siamo oggi e credo riesca a farci intravedere anche come saremo. Piccole creature in un mondo più grande di noi, amplificato dalla vastità dell’anima che ci abita e che non è mai sazia, cerca sempre una risposta. Questo mi ha comunicato Stoner e tutta la variegata compagnia intorno a lui.
Si comincia con la storia di un ragazzo di campagna che forse per caso riesce a emanciparsi e sfuggire da un destino già solcato attraverso la terra del padre. Arare o dedicarsi alla letteratura? Stoner non ha dubbi, nemmeno ritornando a casa da adulto riesce a ritrovare la gioia nella terra, l’infanzia e la sua prima vita lo hanno abbandonato, non nutre amore o fascino verso di loro, vive la vita per come questa si presenta, quasi senza combattere. Ma non perde mai di vista il suo unico posto felice, dentro la pagina di un libro, da leggere, da scrivere.
L’aspetto che ho più odiato e amato al contempo del personaggio di Stoner è la sua arrendevolezza. L’essere umano, combatte si dibatte nel fango, cerca di far valere le proprie ragioni fino allo spasmo ma Stoner no. Lui sembra aver deciso di soccombere, solo ogni tanto ottiene qualche piccola rivincita, ma sono sempre piccolezze in un oceano di indifferenza e ostilità. Probabile che questa sia la semplice condizione umana, un dibattersi pressoché inutile, forse Stoner è l’essere umano più consapevole che si possa incontrare in letteratura – circoscriviamo – che io abbia incontrato per ora in letteratura. Ma ultimamente mi è arrivato tra le mani Malinverno di Domenico Dara che potrebbe essere sullo stesso filone, tratta di morte.
Ecco la morte aleggia in tutto il romanzo, come una sorta di resa anzitempo. Non è il culmine, verso il quale in ogni caso siamo tutti in corsa, ma è lo statico comun denominatore di tutta la vita di questo insegnante che vede nella sua esistenza un affastellarsi di impedimenti fatti carne o ossa, uomini, donne e sentimenti insondabili che lui stesso non sembra in grado di esplorare.
La cosa che non perdonerò mai a Stoner è di non aver salvato Grace. Avrebbe potuto? Forse no, anche se le premesse c’erano tutte, avrebbe dovuto provare, questo si. Un essere umano ha dei compiti, delle responsabilità ma soprattutto dovrebbe avere la convinzione che qualcuno, per lui, ci ha provato. Ognuno a suo modo deve essere riflesso e artefice di questo sentimento di riconoscenza altrimenti l’intera esistenza si potrebbe trasformare in un’eterna, ripetuta cantilena volta solo all’annichilimento dello spirito umano.
No io dico che bisogna comunque combattere e raggiungere la propria felicità anche quando costa molto, ma forse, chissà che non sia questo il messaggio di John Williams.