Chiedi alla polvere è una storia che ti si attacca addosso, lercia e pura allo stesso tempo. Lascia uno strato di pulviscolo che ti perseguita irruvidendo ogni superficie, rende scomodo lo stare al mondo che avevi fino poco prima di leggere.
Ho rimandato a lungo l’incontro con Fante, non so esattamente la ragione, dovevo arrivare a oggi, probabile. Posso raccontarvi di aver sorbito ogni singola frase, ogni accenno alla rovina umana con l’entusiasmo e lo stupore di un bambino. Fante mi ha regalato anche qualche sorriso, nel suo stile c’è qualcosa di impeccabile che me lo fa collocare subito tra i miei autori preferiti. Asciutto e prioritario. Non c’è una parola di troppo, non un episodio inutile, forse il prologo che l’editore gli suggerì di mettere alla fine. Chissà come mai nella testa di Fante quel pezzo doveva stare prima? Per spiegare dove non c’è bisogno di spiegare, ha avuto la necessità, quasi fisica di dare un senso di reale, una collocazione a una storia che già leggendola suggerisce tutte le sue radici, la bruttezza da cui si sorge, il pantano in cui dobbiamo dibatterci, tutti, inevitabile.

STORIA (NON TUTTA!)- Il protagonista, Arturo Bandini, alter ego di John Fante, è un giovane aspirante scrittore italo americano che lascia il Colorado per intraprendere, a Los Angeles, nel quartiere di Bunker Hill la carriera letteraria. Arturo è vittima della sindrome dell’impostore e al contempo non resiste al desiderio di essere riconosciuto e riverito come importante scrittore. Parla spesso da solo, con lo specchio nei suoi sogni, immagina la vita invece di morderla. Abita in una stanzetta presa in affitto in un motel dove incontra un’umanità ai margini e che colorerà i suoi scritti. E’ riuscito a pubblicare un primo racconto con l’editore Hackmuth e questo ha nutrito il suo ego. Gira con la rivista contenente il suo scritto in mano e cerca di far capire a chi incontra che lui è un grande scrittore. Lo dice alla signora che gli affitta una stanza, alla cameriera Camilla Lopez che gli serve il caffè ma niente nessuno sembra interessarsi a lui. Arriverà a capire che la sua inadeguatezza nelle relazioni, le sue velleità letterarie e i suoi timori religiosi lo bloccano al punto di non riuscire ad amare Camilla e comprende di esserne schiavo e di non riuscire a vivere la sua vita.

La questione della religione – La colpa e l’espiazione, il senso di responsabilità e la vergogna bloccano Bandini come solo chi coltiva la sua fede può percepire; è interessante a tal riguardo l’intervento che ho ascoltato recentemente, anzi si tratta di una chiacchierata che Baricco ha fatto con Matteo Caccia per il Post lascio qui il link per ascoltare il podcast. Si parla anche di fede che viene presentata come una condizione illuminante ovvero una primordiale estasi da cui, anche chi vi si allontana cerca di tornare alla ricerca di una luce o parte d’essa, forse per riguadagnare la fiducia, anche se una volta persa tutto prende una piega complicata. Persa la fede cercherai qualcosa per tutta la tua esistenza che ti possa donare un barlume di quello stato di appartenenza primordiale, antico e collettivo.

Ecco che Bandini vive pieno di fervore e di dubbi, di desideri fisici compressi e di cui si vergogna, ammonito dalle memorie della sua fede religiosa in cui trova rifugio ma che poi diventa strumento di tortura, in un continuo contrappasso che non lo fa mai gioire di nulla, una contraddizione con se stesso e con il mondo che lo circonda. L’incapacità di peccare o di accettare di essere un peccatore distrugge l’attitudine alla vita di Bandini bloccandolo in una perenne diatriba che lo incalza sul nascere di ogni evento nuovo o curioso e così la vita scorre tra mille pensieri e sogni senza coglierne tutto il potenziale.

Arturo Bandini è un sognatore, uno che nel suo universo interiore intrattiene conversazioni, vorrebbe dire cose e vivere con coraggio e con stile, raccogliere l’ossequio e la stima del prossimo, non di tutti, di alcuni. Sogna e poi quando deve agire tutto sfuma, ci ripensa, viene colto di sorpresa dalla vita che in effetti accade e non si cura delle aspettative o dei desideri con cui la vorremmo decorare.

L’impianto della storia regge su un doppio registro letterario, da una parte un tono fluido e veloce con venature ironiche imperdibili e dall’altra periodi più lunghi e dotati di una poetica quasi struggente che ci consentono di svelare il pensiero più intimo di Bandini. Questo duplice linguaggio e registro permette di entrare in profonda connessione con Bandini rendendolo fragile, umano, vicinissimo a tutti noi che spesso nella vita sogniamo a occhi aperti salvo poi cucire maldestri le nostre ferite.

Ho già acquistato Aspetta primavera, Bandini che leggerò tra i primi libri del 2024!