Edito con Neri Pozza – Collana Bloom – 240 pp

Domenica 12 maggio 2024 ero a Torino al Salone del libro e avevo deciso di ascoltare Daria Bignardi che avrebbe presentato il libro Triste tigre, un titolo che da qualche tempo mi rimbalzava in testa e davanti agli occhi ma a cui non avevo prestato la dovuta attenzione. Non avevo esattamente idea di cosa avesse scritto l’autrice, il tema centrale, ma il titolo e l’attesa mi avevano trasmesso tutto l’hype e le emozioni che vi aleggiavano intorno e quindi mi sono messa in fila, sotto il sole. Una tizia alle mie spalle con le braccia tatuate sbuffava e più lo faceva e più mi stava simpatica, un poco punk e un poco cappuccetto rosso. Cinque alla volta ammesse, poi dieci, toccava a noi. Ho consegnato il mio documento per l’auricolare, la traduzione sarebbe stata simultanea, dal francese all’italiano. C’è stato trambusto perché Daria Bignardi voleva fossero occupate tutte le sedie e pungolava le ragazze dello staff che si ostinavano a procedere con una lentezza da bradipi, saranno state disposizioni, fatto sta che alla fine la sala era gremita.

Ci siamo messi tutti sull’attenti, ad ascoltare. La tensione era palpabile.

Il titolo, triste tigre può sembrare uno scioglilingua ma anche un’allitterazione con cui giocare, se di gioco si può parlare, ma in questo caso no, non si può. Si tratta di un paradosso, non c’è più la tigre che domina l’autrice: tutta la storia è diventata una storia triste. troppo dolorosa e tremendamente comune.

Il libro parte con un ritratto del patrigno della Sinno, di cui viene sempre nascosto il nome. Gli inizi della relazione con la madre di Neige e poi la decisione di vivere assieme, di fare altri due bambini, di trasferirsi tutti in un rudere che decidono di ristrutturare da soli, il sogno di una casa pulita di stanze belle in ordine che non arriveranno mai, la vita nella cantina dove i letti erano promiscui, gli spazi troppo attigui gli sguardi e aimè i corpi, troppo pericolosamente vicini. Non si torna più indietro e non c’è salvezza da un segno del genere perché la percezione lineare del tempo è ingannevole mentre viene in nostro soccorso Eraclito, per farci comprendere quanto ci accade: il tempo è ciclico va e viene e ritorna eternamente. Il nome e il volto del patrigno è sempre nascosto, ormai il processo è concluso da anni, lui ha scontato la sua pena e ha iniziato una nuova vita con una giovane compagna, ora hanno generato altri bambini. (!!!) Cosa potrà mai accadere? Non ci è dato sapere, né a noi né all’autrice.

I richiami letterari sono stati subito scandagliati, Sartre, Nabokov William Blake Margaux Fragoso, Virginia Woolf, due facce diametralmente opposte di una stessa medaglia dolorosa. E’ una storia che viene scritta a partire da tante altre storie che ricostruiscono il paradigma di dolore che ha affannato l’autrice per tutta la vita, perché non esiste salvezza o via di fuga ma c’è spazio solo per una citazione di Sartre in Genet, santo e commediante:

Quel che facciamo noi stessi di ciò
che hanno fatto di noi.

Il tema della pedofilia e dell’incesto sono tabu, eppure ci circondano. Solo una persona su dieci, che ha subito questo tipo di violenza ottiene un regolare processo, ciò accade per molte complicazioni che come si evince dalla lettura rendono questo specifico reato così sommerso, nascosto eppure evidente sotto gli occhi di tutti.

Neige Sinno ha chiaramente detto che non le piace leggere della sofferenza, lo scrive anche nel testo, cita stralci di romanzi molto più espliciti del suo, dove le descrizioni delle scene di abuso sono così laceranti da catapultare il lettore in quell’orrore, impossibile tornare indietro da una tale violenza. Io personalmente non credo di potercela fare a leggere determinati testi, per quanto letteratura, non sono mai nemmeno riuscita a leggere Lolita. Non credo potrei per la stessa motivazione critica riportata da Neige, la prospettiva, il punto di vista del protagonista Humbert, il predatore verso il quale non vorrei mai poter provare compassione, vive un’allucinazione una verità che appartiene solo a lui e che trasferisce sulla piccola Lolita trasformando per sempre la sua vita.

Questi crimini non meritano perdono, compassione o comprensione, sono aberrazioni che non consentono tolleranza. Sinno sostiene che l’unico modo decoroso per uscirne è il suicidio, concordo, amaramente concordo per quanto la nostra sia una società in cui esiste la seconda possibilità concordo con Neige, per questi crimini, che derubano un altro essere umano della sua libertà e di tutta la sua esistenza, per ogni singolo giorno che avrà modo di abitare, non c’è a mio avviso alcuna pena comminabile.

Sinno affronta il “male” nella sua espressione più tremenda ma senza voler con questo sommergere il lettore, lasciandolo integro, senza produrre violenza supplementare. Dopo averlo letto devo dire che lo shock c’è stato ma concordo sul fatto che l’intenzione dell’autrice è porre dei quesiti e farli albergare nel cuore di chi legge. Il tema principale, cuore delle sue argomentazioni, è che la società chiude gli occhi davanti a questo argomento, per paura, per orrore forse.

Oggi ho terminato di leggere il libro. Ci ho messo circa tre giorni. Avrei smesso di leggerlo a ogni singola pagina, tuttavia la lettura continuava a richiamarmi e imporsi, essenziale. Le violente virate tra la biografia e l’indagine letteraria e sociale, quasi l’inchiesta giornalistica consentono di sopportare tutta l’onda di dolore che questa testimonianza porta con sé. Forse la letteratura non è riuscita a salvare l’autrice, come lei sostiene, tuttavia esprimersi in modo così preciso sulla questione è un merito davvero notevole, uno sforzo di cui ringrazio con molto amore l’autrice.

Cito: Ecco quello che direbbe David Forster Wallace – E niente è cambiato sul perché gli scrittori che non lo fanno per soldi scrivono: è arte, e l’arte è significato, e il significato è potere.

In questa frase l’autrice racchiude il concetto di libertà, di consapevolezza di poter fare una cosa, nel bene e nel male, grazie a questa possibilità: farla. Scrutare il mondo e l’altro posto, il luogo del male, stare in equilibrio come dice lei, come funamboli, in bilico su un orrido e non cadere.

Un libro toccante, unico. Ti si aggrappa alle viscere e non ti abbandona mai più.

AUTRICE – NEIGE SINNO

Neige Sinno è nata nel 1977 nella regione delle Hautes Alpes. Dopo un periodo negli Stati Uniti, si è trasferita in Messico, dove vive col compagno e la figlia. Ha studiato anglistica, traduce e ha scritto anche un altro romanzo e una raccolta di racconti. Alla sua uscita in Francia, Triste tigre è diventato immediatamente il caso editoriale dell’anno e il libro più premiato (Prix littéraire Le Monde; Prix Blù Jean-Marc Roberts; Prix Les Inrockuptibles; Prix Femina; Prix Goncourt des lycéens; Choix Goncourt de la Suisse; Choix Goncourt de la Belgique; Choix Goncourt de l’Orient; Choix Goncourt de la Slovaquie, Choix Goncourt de l’Inde, Choix Goncourt de l’Autriche, Choix Gouncourt de la Grande Bretagne, Choix Goncourt des Pays-Bas).

Fonte bio: www.neripozza.it