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L’AVVERSARIO – Emmanuel Carrère
2000. Adelphi, 261 pp
“Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, ma invano. L’inchiesta ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient’altro. Da diciott’anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone di cui non sarebbe riuscito a sopportare lo sguardo. È stato condannato all’ergastolo.” Emanuel Carrere

Già dalla prima riga di questo romanzo veniamo catapultati in una tragedia, nella casa dove Romand compie il suo destino che per tutta la sua vita aveva eluso e che in ultima istanza lo porta ad affrontare la prova più dura da sopportare. Si tratta di un romanzo-verità che parla dei fatti davvero accaduti a Jean-Claude Romand nel 1993.
L’uso della prima persona consente all’autore di non delegare il punto di osservazione della scena, è il suo, spettatore – come del resto noi suoi lettori – che ricostruisce con un incredibile lavoro di indagine documentale e di visualizzazione: ricrea ciò che nel corso di tutta la vita di Romand era accaduto, formando una indissolubile catena di eventi che lo avrebbero condotto all’ineluttabile ultima tragedia. L’autore è con noi e noi con lui, ci affacciamo su una vita e assieme a lui siamo dietro una finestra, a volte tiriamo la tenda perché la verità è troppa, altre sobbalziamo perché ci pare inverosimile che il destino sia stato così incredibilmente dalla parte di Romand, oppure contro, a vedere il baratro mortale in cui ha gettato lui e tutte le persone da lui amate.
Guadiamo il protagonista sfuggire dalle responsabilità, dagli impegni, dalla logica, lo seguiamo nelle sue peregrinazioni e nella sua testa, in alcuni pensieri che è verosimile lo abbiamo toccato, i dubbi forse e soprattutto lo sgomento, la sorpresa che nessuno si accorgesse delle sue menzogne e che nessun evento si frapponesse tra lui e la realtà restituendolo a una pace, o presunta tale, liberandolo dalle maglie che lui stesso nel corso degli anni aveva costruito intorno alla sua esistenza. Una storia che sa di incredibile ma che per questo stupisce perché riporta le udienze di Romand a cui Carrere aveva assistito, gli episodi dissociativi dell’assassino, il racconto degli escamotage durante gli anni dell’università – mai fatto un esame e iscritto al primo anno per i dodici successivi mantenuto dai genitori – e poi durante il lavoro. Romand si mantiene con una serie di raggiri, truffe, facendo prelievi dai conti dei genitori, godendo della vendita di proprietà familiari. Mantiene, cosa stupefacente, calma e sangue freddo diventando l’amico affidabile e il figlio modello, pilastro della famiglia alla morte del padre.
La descrizione di una maschera, una di quelle che tutti indossiamo per la convivenza ma che può finire per portare alla follia, perché a mio avviso tutta la vita di Romand è un lungo sintomo di follia, di incapacità forse di reagire. Potrebbe capitare a chiunque, fare un errore, per coprirlo farne un altro e così via fino a trovarsi dentro un marasma. Potrebbe essere a una passo da chiunque un’esistenza così incomprensibile eppure piena di verità per chi la vive.
La sensazione che ho provato è stata di claustrofobia, a parte la pena di sapere che la tragedia si è consumata davvero è stato per tutto l’ascolto, ho preferito Storytel per questo testo. Mi è sembrato di soffocare nell’esistenza di Romand, nell’ossessione dell’autore per trovare il modo di parlarne e mi sono sentita oppressa dalla sofferenza con cui il protagonista convive, fin prima di sapere che diventerà un assassino, il “segno” che qualche ferita è dentro l’essere umano sempre pronta a sgorgare tutta la sua ingiustizia, tutto il suo languore.
Dolore e follia, spesso facce di una stessa medaglia, sono le parole che posso associare a questa lettura, avvincente e al contempo amarissima. Mi sento prosciugata.

Emmanuel Carrère è scrittore, regista e sceneggiatore francese.
Laureato all’Istituto di Studi Politici di Parigi, è figlio di Louis Carrère e della sovietologa e accademica Hélène Carrère d’Encausse figlia di immigrati georgiani che fuggirono la Rivoluzione russa.
I suoi esordi sono stati nella critica cineatografica, per «Positif» e «Télérama». Il suo primo libro, Werner Herzog, un saggio, è stato pubblicato nel 1982.
Il suo esordio come romanziere risale invece al 1983: è L’amico del giaguaro, pubblicato da Flammarion. Il successivo Bravura (1984, in Italia pubblicato nel 1991 da Marcos y Marcos), invece, è stato pubblicato da POL, editore con il quale da allora non ha più interrotto i rapporti. Nel 1986 è uscito Baffi (da cui nove anni dopo lo stesso Carrère ha tratto l’omonimo film), nel 1988 Fuori tiro, nel 1995 La settimana bianca, nel 2000 L’avversario, nel 2002 Facciamo un gioco, nel 2007 La vita come un romanzo russo, nel 2009 Vite che non sono la mia e nel 2012 Limonov (con il quale vince il Prix Renaudot).
Tradotta in Italia dal 1996 al 2011 per l’editore Einaudi, che ne ha pubblicato 5 titoli, l’opera di Carrère viene rilanciata nel 2012 da Adelphi con la biografia del controverso personaggio Limonov, finalmente bestseller di vendite, e la ripubblicazione delle opere precedenti.
Altre pubblicazioni con Adelphi sono: Il regno (2015), A Calais (2016), Io sono vivo, voi siete morti (2016), Propizio è avere ove recarsi (2017), Un romanzo russo (2018), Yoga (2021) e V13. Cronaca giudiziaria (2023).
Fonte biografia autore www.ibs.it