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TRA DUE OCEANI – Cristina Henriquez
NN Editore, 383 pp. Traduzione di Roberto Serrai. – 7 minuti di lettura.

RINGRAZIAMENTO – Quest’oggi vorrei ringraziare con tutto il mio cuore NN Editore che mi ha inviato una copia del romanzo Tra due oceani di Cristina Henriquez; seguo da molti anni questa casa editrice, da quando ho scoperto Kent Haruf, edito in Italia proprio grazie a loro, ora, a seguito di una joint venture tra i due editori è possibile acquistare questo autore anche con la collana #oscarmondadori.
In seguito, nel corso degli anni, ho letto altre opere e sempre con una grande gioia, ho notato lo stile moderno, quasi sperimentale dei testi, ne ho colto e ammirato lo sguardo di sfida che sta dietro talune scelte e per questa ragione continuo a leggerli con estremo piacere. Potrete quindi ben capire quale gioia io abbia provato nel ricevere il mio bel pacchettino lunedì 27 giugno, tanto che, oggi che scrivo siamo venerdì e malgrado centomila impegni e la primavera non pervenuta che mi fa svenire dal sonno alle dieci di sera… ho appena chiuso l’ultima pagina.
TRAMA – Ci troviamo a Panama, in particolare nell’area del cantiere del famosissimo stretto sull’istmo di Panama che avrebbe unito due oceani con uno scavo attraverso le montagne.
La prima protagonista che incontriamo è Ada Bunting, una giovane che viaggia sola sul piroscafo Royal Mail che connette le Barbados a Panama, dove ha sentito che il lavoro abbonda e dove spera di guadagnare abbastanza per aiutare la sua famiglia. Per lei lo stretto rappresenta una speranza di sopravvivenza economica, non solo, ma non vorrei svelare troppo.
Poi Incrociamo Marian e John Oswald, una coppia trasferitasi a Panama perché lui ricercatore medico aveva avuto l’intuizione che la malaria fosse causata dalle zanzare. La ricerca e il prestigio guida lui mentre, la speranza di raccogliere l’amore che le manca, spinge la moglie a seguirlo, li attende una prova difficile.
Omar, altro giovane protagonista come Ada, sarà mosso da un’intenzione ancora diversa, il suo spirito innocente e pieno di entusiasmo e apertura mentale lo porta a litigare con il padre Francisco pur di potersi dedicare a quest’opera che nella sua visione è futuristica ma anche lo strumento di una nuova vita, nuove parole, nuove persone da accogliere nella propria terra.
Incontriamo una moltitudine di uomini che scelgono ogni giorno di scavare nel fango perché l’idea sarebbe stata di “Scavare la terra a Panama, comprarne un po’ al suo paese” citando Berisford, collega indimenticato di Omar e che sogna, lavorando senza posa, di potersi un giorno riunire alla sua Naomy, potrei andare avanti con i personaggi ma il libro va letto e basta per poterne cogliere la poliedricità dei punti di vista che lo rende una vera e propria testimonianza umana.

Ogni singola storia personale racchiusa in “Tra due oceani” sottolinea quanto questi movimenti di persone attraverso le più diverse latitudini sia stato un groviglio di paradigmi, ognuno intessuto con l’altro quasi in una maglia fitta di destini già scritti, questo senza voler essere fatalisti – una delle qualità più spiccatamente panamensi – ma guardando con la lente di ingrandimento quanto un fenomeno storico e politico di questa portata, la costruzione del Canale, abbia influito su singole esistenze e trasformato non solo la terra, modificando il corso dell’acqua, la linea delle catene montuose e la ricollocazione di interi paesi ma rimodellato anche innumerevoli destini lasciando libera scelta a ben pochi di loro.

NOTA STORICA – Il romanzo si svolge quasi completamente intorno allo stretto di Culebra, precedentemente detto stretto di Gillard, una valle artificiale che taglia lo spartiacque continentale a Panama e che fa parte del suo celebre stretto. Lo scavo venne iniziato, in prima istanza dai francesi nel 1881, tuttavia una combinazione di avversità: malattie, incidenti di vario genere, complicazioni finanziarie fecero abbandonare il progetto che anche nel romanzo veniva allora considerato un’impresa impossibile.
Saranno poi gli americani, acquistato il progetto dai francesi il 4 maggio 1904 a proseguire i lavori, appoggiare l’indipendenza di Panama dalla Colombia e così assicurarsi un appalto importantissimo e che ha giocato un ruolo fondamentale nella crescita economica e commerciale degli Stati Uniti. Panama come colonia vestita da stella nascente di indipendenza, #showbiz all’ennesima potenza. Un’americanata insomma.
MIE OSSERVAZIONI SUL TESTO – La lettura di “Tra due oceani” scorre velocissima. Il ritmo, cadenzato da repentini cambi di punti di vista e di collocazione spazio temporale delle scene, ti catapulta subito dentro la storia e accende la curiosità. Si tratta di un romanzo corale che ha come protagonista lo stretto e l’identità di un popolo, il desiderio di progresso e di appartenenza alla propria terra. Per ogni singolo personaggio, ce ne sono davvero tanti, c’è una specifica caratterizzazione che va dalle due righe di connotazione fisica, ai ricordi accennati o ampiamente descritti con dei flashback collocati con intelligenza oppure con scene che restano scolpite nella memoria e che riescono a far vivere al lettore un ampio ventaglio di emozioni.
La ricostruzione sociale e storica della Panama di quegli anni è fatta in modo magistrale e semina nel lettore la speranza e la disillusione provata dai protagonisti ma anche da una intera nazione, esautorata per interessi prettamente economici della propria identità e autorità su terra, case, lingua, acqua. Le storie sono permeate dalla prevaricazione vissuta dagli ultimi che a Panama sono davvero ultimi ultimissimi, immersi in una macchina di affari più grandi e venduti spesso da accordi sotto banco tra chi può decidere, sempre distante e sempre disamorato dei valori e del potenziale di un paese, di una cultura e di un ambiente
LA MIA ESPERIENZA PERSONALE A PANAMA – Viaggiando molto in Centro America mi è capitato di attraversare tutta Panama, compresa la Comarca Kuna Yala, addirittura di risiedervi per qualche mese in diversi abitati. Ho Partecipato a fiere e quicenarie. Posso dire che il romanzo riporta con onestà lo stato d’animo dei panamensi nei confronti degli yankee, come ancora oggi vengono definiti gli americani. Lo sguardo diffidente tuttavia è riservato un poco a tutti i visitatori, certe ferite richiedono tempo per poter essere curate.
C’è stato un tempo in cui aleggiava una speranza, un tempo in cui anche molta parte dei cittadini di Panama, di tutti i pueblitos disseminati anche nelle terre più isolate, hanno immaginato una nuova prosperità per tutta la loro gente, per l’economia del paese, più giustizia e opportunità per figli e nipoti; speranze in larga parte disattese: ad arricchirsi sono stati soprattutto gli americani o gli stranieri che hanno avuto la possibilità di investire; molti tentativi normativi dei locali hanno cercato fin da subito, tuttavia di ridurre l’impatto economico, ambientale e sociale straniero, consentendo gli investimenti solo a società con quote interne di locali, per agevolare con condivisione di queste ricchezze con le popolazioni locali. Si trattava per lo più di leggi di facciata, abilmente svicolate e magistralmente trasformate dai politici del momento, molto bravi in campagna elettorale, che in questi paesi blocca ogni singola attività burocratica imprigionandoli in periodi alternati di lotta per il progresso e siesta. Le decisioni quasi sempre demandate o procrastinate sono frutto di meccanismi farraginosi dove la corruzione, a ogni singolo livello è diventata lo strumento di vendetta (forse), di un tentativo di emancipazione, sicuro, mi spingerei a definirla un mezzo adoperato con cieca attitudine che ha portato in molti casi al depauperamento spirituale ed economico di una intera Nazione.
Mi ha molto toccato la parte in cui Valentina a Jaquin ritornano a Gatun, la riscoperta della natura dell’appartenenza a quella terra e al contempo l’orrore provato per il dissesto naturale prodotto dai disboscamenti. A tal proposito mi viene in mente un piccolo racconto che avevo scritto proprio ricordando un viaggio fatto in pulmino da Panama City fino la Comarca Kuna e poi in barca a San Blas, un vero paradiso terrestre. Ciò che salta subito agli occhi è la netta differenza ambientale tra i territori panamensi e quelli Kuna che si sono battuti strenuamente per la loro terra e non hanno venduto o concesso un millimetro agli investitori stranieri e che così conservano intatta la loro identità culturale e naturale. Prova di questo è la netta linea che delimita i due territori, da una parte giungla florida e fittissima, dall’altra, Panama, una brulla pianura costellata da piccoli abitati e sparute palme, gruppi di Guanacaste e Napok rimasti miracolosamente in piedi. Sento ancora fortissimo lo smarrimento provato a quella vista come se un delitto, irreversibile, fosse stato compiuto e che il concorso di colpa pendesse da una parte ma fosse in ogni caso la combinazione di colpe antiche a futura memoria e rovina.

AUTRICE – CRISTINA HENRIQUEZ
Cristina Henríquez è autrice della raccolta di racconti Come Together, Fall Apart, che è stata Editors’ Choice del New York Times, e del romanzo Il mondo a metà (Fazi, 2010). I suoi lavori sono stati pubblicati su The New Yorker, The Atlantic, The American Scholar, Glimmer Train, Ploughshares e Oxford American, oltre che in varie antologie. Vive in Illinois. Anche noi l’America ha ispirato un progetto tumblr: The Unknown Americans Project.
Fonte biografia: www.nneditore.it