Guanda Editore, 330pp. 18,00 €

Oggi vorrei parlarvi di un romanzo che mi ha fatto compagnia durante le ferie. Ragione per la quale sono parecchi giorni che non scrivo nel blog! Ma l’altro ieri sera sono rientrata carica di idee per questo spazio che comincerà a prendere una forma più strutturata con parti dedicate alla scrittura e ai servizi che quest’anno comincerò a offrire. Ma non voglio anticipare niente prima del tempo e condurvi invece dentro il romanzo che desidero proporvi oggi.

La strangera, in modo molto diretto contiene già nel titolo uno dei suoi elementi fondamentali, anzi il personaggio principale che abita questa storia, Beatrice. Si tratta dell’esordio di Marta Aidala, studentessa della scuola Holden anno 2023. Un esordio considerevole sia per l’editore che ha deciso di seguire questa sua prima prova, Guanda Editore sia per l’impegno e la cura di Federica Manzon, altra autrice che ho avuto il piacere di recensire qui, tra l’altro quest’estate c’è stata una presentazione di Alma, il suo ultimo romanzo proprio a Muggia, ho partecipato con moltissimo interesse.

La strangera è un romanzo che ti porta via, sia per la sua ambientazione tra le montagne, sia per i personaggi che appartengono a un mondo lontano capace però di farsi intimo fin dal loro ingresso nella storia. Dentro ai personaggi tratteggiati da Marta Aidala ci sono caratteristiche capaci di rimandare a persone reali, che il lettore potrebbe aver intravisto o con i quali potrebbe avere avuto l’occasione di intavolare una conversazione, un saluto anche solo uno sguardo di quelli che “restano”. C’è un gioco di rimandi a esperienze personali sui quali l’autrice riesce a instaurare immediatamente con il lettore una confidenza, rara e sorprendente visto che si tratta di un esordio.

TRAMA – Beatrice è una ragazza in cerca di se stessa e di ossigeno, di una direzione. La giovane donna, sebbene osteggiata in questa scelta dalla famiglia, dalla madre che resta sempre distante come la sua città, Torino, decide di “salire” sulle sue montagne per lavorare nel rifugio gestito dal “Barba”. Durante la stagione la squadra di camerieri, cuoco e gestore si amalgama tra lavoro e vita; un gruppo di “complici” che sopravvivono, ognuno per ragioni diverse, alla fatica del lavoro estivo, alle prese con orde di turisti chiassosi e che poco hanno a che fare con la “vita vera” della montagna, tema divisivo su cui si innerva molto di questa storia.
Quasi all’inizio della stagione sale dalla valle una famiglia di pastori con le bestie, un evento atteso da tutta la comunità e che comunica anche a Beatrice, appena sente quei movimenti di animali e uomini, tutta la sua eccezionalità. Elbio il figlio più giovane del pastore si farà sempre più assiduo al bar dove Beatrice armeggia con la macchina per il caffè, allungandole fiori di campo e sguardi imbarazzati, mani troppo grosse sempre nelle tasche; a suon di silenzi Beatrice e questo giovane pastore nascosto tra camice di flanella e barba incolta, troveranno un codice morse, ma non sempre il ponte radio, per condividere le loro inquietudini e speranze.
Numerose sono le traversate compiute da Beatrice tra sentieri impervi, testando gli scarponi che hanno ancora tanta memoria della sua vita di “prima”. La nostra protagonista si muove sulle sue gambe, esili ma scattanti, con determinazione e un pizzico di incoscienza, a volte per recuperare formaggi da recare al rifugio altre per trascorrere delle mezze giornate in beatitudine tra silenzio e vedute che regalano a Beatrice i suoi momenti di silenzio e bellezza. Tra i boschi ci si perde osservando la natura in tutta la sua maestosa complicità, donna anche la montagna, anche quella che porta nomi di uomini.
Finita la stagione estiva Beatrice prende un’importante decisione, l’inverno diverrà il tempo della sosta e del lavoro calmo, il Barba mostrerà i suoi lati meno ruvidi ma un incidente cambierà per sempre il rapporto tra Beatrice e la montagna, una prova che mieterà inquietudine e disgusto nella giovane donna, la terra tremerà sotto i suoi piedi e le vette forse saranno di nuovo l’unico orizzonte a cui appellarsi, dove trovare pace?

RIFLESSIONE: Ogni storia sta tutta nella trasformazione, come molti addetti ai lavori insistono a sottolineare. Anche ne La strangera, il personaggio di Beatrice ha una vita interiore ingarbugliata, barriere di credenze, macigni di refrattarietà che inizialmente la bloccano, non riesce a formulare parole per esprimere i suoi pensieri che invece viaggiano molto veloci, avanti e indietro nel tempo, forse nel tentativo di appigliarsi al presente. Beatrice ha un nuovo oggi da determinare, una scalata verticale che conduce verso una vetta inaspettata e pericolosa.
Tipiche inquietudini di un’età sfuggente, anche perché appena hai capito è già finita.


Si ravvisano nella lettura due temi principali, e sono quelli sui quali vorrei porre una sottolineatura: l’appartenenza e il suo opposto: l’essere strangeri nel mondo e la dicotomia uomo/donna con le sue complicate conseguenze in termini di comunicazione e di scelte.

Lo spaesamento abitato da Beatrice ha radici più lontane rispetto la condizione di strangera, nomignolo dato dai “montanari originari” a quelli che si arrischiano a salire e abitare quelle vette. Sentirsi parte di una comunità e poi non più, è qualcosa che Beatrice vive anche in adolescenza, quando condivide con il gruppo di arrampicata un periodo spensierato, eppure il tratto netto della sua personalità affiora spietato: la giovanissima Beatrice diviene già vittima di un allontanamento, di una caduta di intenzioni. Scalare come sfida perde significato in favore di un tempo più lento, il camminare amando i luoghi attraversati, non predatrice ma parte di un tutto, donna.
Il quesito che si intravede è se ci riconosciamo negli altri e fino a che punto questo è importante? Lo stacco dall’altro, dal contesto in generale, è un processo di evoluzione individuale, tipico dell’adolescenza; purtroppo attualmente in fase di drammatica espansione temporale, si notano adolescenti incanutirsi senza speranza di maggiore età. Quindi la vena d’oro del personaggio di Beatrice è questa sua nebbia e il lento affiorare di una volontà nuova che diverrà sintesi di tutte le esperienze vissute prima e dopo il Barba, personaggio centrale, decisamente più incisivo di Elvio nella trasformazione della nostra eroina.

La contrapposizione uomo / donna, questo punto sospende il contatto con la storia e riporta il pensiero del lettore al momento storico contemporaneo, con un accenno all’antropologia complessa della nostra società. Il dibattito nel quale siamo immersi è fatto di molti -ismi che dovrebbero far accapponare la pelle, i capelli, ogni strato corneo sulla nostra superficie corporea, ma la ridondanza di queste prese di posizione appiattisce ogni intenzione valicando il confine della condiscendenza. Si accetta tutto e il contrario di tutto, e questo lo si fa in nome di una volontà libera e pensante che dovrebbe albergare in ogni voce che si leva sopra le altre. Beatrice, e poi il suo alter ego cresciuto, Valeria, sono le uniche figure femminili descritte con una certa verve dall’autrice; le donne di montagna pur solide nell’immaginario di Beatrice risultano piegate alla durezza della vita e della necessità dell’ambiente in cui devono combattere la loro esistenza. La madre di Beatrice si muta in una delle vette amate ma lontane, irraggiungibili e distanti, fredde.
Beatrice e Valeria invece sono donne forestiere, dotate di una volontà ferrea, corpi scattanti e voglia di indipendenza, forse di rivalsa. Due lottatrici. Contro cosa? Questo snodo non appare chiarito del tutto perché le vite di queste due donne sono in divenire verso un orizzonte che non ci è dato conoscere ma che instrada verso la dicotomia necessaria tra la propria storia passata e presente: la presa di coscienza; due donne che imboccano, contro ogni possibile pronostico, la loro strada. Che questa direzione sia giusta o sbagliata, definitiva o in divenire, questo non importa, le due giovani donne iniziano delle nuove avventure, senza il permesso di nessuno, forse senza nemmeno il benestare di nessuno, ma che importa infine?
Qui si chiude il cerchio con la vita del Barba che senza dubbio è, insieme a Beatrice, il personaggio che più rimane nel cuore con tutte le sue contraddizioni e mezze parole che riescono a dire molto di più se coniugate ai gesti: perché di un essere umano valgono più le azioni che le futili parole.
Ognuno può essere fautore del suo nuovo inizio, al netto delle ferite accusate, secondo la misura destinata a ciascuno dalla vita.

NOTE SULLO STILE: La scrittura di Marta Aidala è molto scorrevole, il libro si legge in poche sessioni ma la storia ha il potere di imprimersi nella memoria. Pochi personaggi ruotano intorno la vicenda, sottolineando l’importanza che l’autrice ha dato alla presa di coscienza di Beatrice e al suo mondo interiore che non svela subito di se ma riesce a colmarsi di poesia attraverso la natura, colta e trasmessa in tutta la sua bellezza per mezzo di bellissime, forse qua e là lunghe, descrizioni nelle quali già si intercetta lo stile dell’autrice.

AUTRICE

Fonte:www. unamontagnadilibri.it

Marta Aidala, nata a Torino nel 1996, a diciassette anni si è innamorata delle montagne e il suo sogno è salirci per rimanere. Dopo i lavori più disparati ha frequentato la Scuola Holden e si è diplomata nel 2023. Adesso lavora in una libreria e si dedica alla scrittura. La strangera è il suo romanzo d’esordio.
Fonte: www.guanda.it