Edito con Keller Editore – 402 pp.

Ho scelto di leggere questo romanzo perché suggerito da alcune persone che stimo e devo dire che ultimamente seguo le sollecitazioni che mi giungono da vicino e lontano, selezionando molto attentamente le fonti a cui mi rivolgo.

INTRODUZIONE:

Chiamatemi zebra è un libro che richiede uno sforzo, bisogna “uscire” dalla lettura convenzionale e anche da molti schemi di consuetudine, quelli con cui abitiamo la nostra vita quotidiana. Con questa storia ci si avvicina a un’anima ferita, pertanto, con tutta l’umanità che possiamo racimolare dal fondo della nostra anima, dobbiamo ascoltarla con rispetto poiché parla una lingua diversa e ha bisogno di cuori desti.
Si tratta di una voce che ne incarna molte, mostrandoci una versione altrui della realtà. Nel tempo in cui stiamo vivendo, fatto di dicotomie, semplificazioni e facili contrapposizioni, ci sfugge un dato fondamentale: l’altro siamo noi. Nel momento in cui riusciamo a cogliere questo, mentre guardiamo un vecchio trascurato seduto su una panchina, un ragazzo senza le scarpe che ha camminato a lungo per raggomitolarsi in un’aiuola, insomma quando passiamo e l’odore umano ci ferisce, dovremmo cercarne gli occhi, non tirare dritto. Dovremmo, ripeto, cercare gli occhi, cogliere l’essenza di quell’umano, del bambino che ha vissuto in quel corpo, immaginare la tenerezza dei suoi genitori che per la prima volta lo hanno stretto, inconsapevoli del fatto che lui, proprio lui, si sarebbe perduto nel mondo, accolto solo dalla nostra paura e indifferenza; non è terribile? Se fossimo in grado di rievocare e trattenere queste emozioni, forse potremmo essere il nuovo mondo per molte persone, forse potremmo fregiarci del titolo di esseri umani. Ma questo non accade, quasi mai. Quasi, per fortuna.

TRAMA:

La protagonista, Bibi Abbas Abbas Hosseini, è una giovane iraniana, nata in una biblioteca e con una famiglia speciale: un’antica stirpe di anarchici e studiosi autodidatti, sempre curiosi del mondo e orgogliosi di tramandare la loro eredità in termini di filosofia, letteratura e lingue, senza filtri religiosi o culturali: liberi di esplorare il diverso e sondare le latitudini del pensiero. La memorizzazione e la trasmissione orale sono strumento e strategia per la sopravvivenza della loro unica eredità che solo così può sopravvivere attraverso diaspore e persecuzioni. Bibi parla in prima persona e ci presenta la sua famiglia, uomini e donne, capaci di pensare in modo anarchico, sovvertendo le convenzioni; per questa loro inclinazione l’ambiente dell’Iran di Saddam, che ingrossava le fila all’altro capo dei monti Elbruz, diventa sempre più ostile fino a costringerli alla fuga, a una vita da vagabondi. Durante questo viaggio verso la “libertà” americana uno degli affetti più importanti di Bibi andrà perduto, segnando per sempre la sua sensibilità verso il mondo. In America riusciranno, lei e suo padre a trovare una sistemazione, vivendo sempre ai margini, senza tradire la loro indipendenza. Seguirà un viaggio a ritroso verso la sua terra, una riscoperta delle sue radici che però avrà una battura d’arresto in Spagna. Qui Bibi incontra persone nuove che restano tuttavia, involucri distanti, poi un uomo con cui si chiude e si riapre nei suoi pensieri, sempre un pizzico oltre il razionale, sempre ai margini dell’accettabile. La scrittura del suo quaderno, specchio della sua percezione e interazione con il mondo, sembra l’unico appiglio alla realtà: una realtà che, per sopravvivere al trauma dello sradicamento, Bibi abbandona a tratti e cerca di plasmare come creta adattandola al suo pensiero costellato di infinite suggestioni filosofiche, Infine, forse il sentimento fisico e spirituale di Amore, potrà forse salvarle l’anima e resta la traccia di questa evoluzione metafisica.
Siamo Amore e possiamo nutrirlo dove questo ne ha bisogno.

OSSERVAZIONI:

Il trauma è il nodo centrale intorno al quale si svolge l’intera esistenza della protagonista, Bibi. Il cibo, associato alla perdita della madre, diventa il mostro dal quale fuggire: il superfluo, l’inutile. Il pensiero e lo spirito, invece, ubbidendo all’eredità Hosseini, sono gli unici a dover essere nutriti e distaccati dalla realtà come intesa dalle persone che Bibi osserva intorno a se e che disprezza, poiché ubbidiscono allo schema gerarchico della disparità che lei ha elaborato per spiegarsi la vita come le è capitata in sorte. Nella bulimia di parole, pensieri e citazioni in cui Zebra si perde, è solo la sua sessualità, sperimentata con Bruno, a dare traccia del suo corpo, a diventare contatto con se stessa e con il mondo; ma il processo per accedere a questa specie di portale è lento e doloroso, porta con se il trauma della sua solitudine e dell’abbandono, della diaspora e della persecuzione. Le ingiustizie plasmano il pensiero e l’esistenza di Zebra, che non può e non deve rinunciare alla qualità delle sue origini, l’aspettativa nei confronti del mondo è altissima, il credito da riscattare inestimabile. Per tutte queste ragioni, leggendo Chiamatemi Zebra si finisce per essere risucchiati in un labirinto di pensieri che rischiano talvolta di far disperdere il lettore, ma appurato che questo è l’unico linguaggio plausibile per una anarchica fuggitiva, si entra in sintonia con il “metodo” adottato dall’autrice. A compendio di questi pensieri sempre elevati il romanzo si trasforma in una sorta di biblioteca su carta, una mappa di punti cardinali entro i quali naviga il pensiero nel quale Zebra cerca di fare ordine grazie alle parole della letteratura e le idee della filosofia: ovvero il cibo che ci rende umani.

AUTORE – Van Der Vliet Oloomi

Fonte: Amazon

Azareen Van der Vliet Oloomi è autrice americana di romanzi e saggi. Nata a Los Angeles, ha trascorso l’infanzia in Iran, negli Emirati Arabi Uniti e in Spagna. Attualmente vive tra South Bend, in Indiana, e Firenze; parla farsi, italiano e spagnolo. Tra i suoi romanzi ci sono Il misterioso caso di Fra Keeler, Chiamatemi Zebra e Savage Tongues. Nel 2015 ha vinto il premio National Book Foundation “5 Under 35” mentre nel 2019, con Chiamatemi Zebra, si è aggiudicata il Pen/Faulkner Award e il John Gardner Award. I suoi lavori sono apparsi in varie riviste letterarie, tra cui «Paris Review», «Guernica», «Granta», «bomb». Insegna scrittura creativa all’University of Notre Dame.
Fonte biografia: www.kellereditore.it

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