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GlLI ARTIGLI DI DIO – Wanda Luban
Edito con alter Ego Edizioni – 224 pp
Gli artigli di dio di Wanda Luban mi ha subito suscitato una grandissima curiosità. Da molto tempo sono affascinata dalla Siberia, un luogo che reputo pieno di magia e di mescolanze, di sogni e pensieri che per secoli si sono avvicendati e che hanno cementato l’appartenenza a quei luoghi delle persone che li hanno abitati ma anche di coloro che li hanno solo attraversati. Una terra che consideriamo distante e difficile e ma che nelle sue alcove di bellezza racchiude un calore inaspettato, fatto soprattutto di storie raccontate di bocca in bocca, di tradizioni e ibride corrispondenze tra umani e animali, tra sopra e sotto, mondi dei vivi e degli spiriti.

Speravo di rinvenire in questo romanzo qualcosa dell’immagine del tutto onirica della Siberia che mi porto dentro da anni, io non ci sono mai stata, eppure ne sento un richiamo fortissimo; ecco, Wanda Luban ha saputo incuriosirmi fin da subito con la sua scrittura magnetica che ti porta, alla stregua di un aedo, in un tempo distante eppure che ti appartiene. La potenza di questa storia sta nella capacità dell’autrice di unire il genere della favola, quindi con profonde radici nelle tradizioni popolari, a un racconto fantastico e nello stesso momento alla storia, quella vera, fatta di resistenza e persecuzione, quella che da sempre produce diaspora e odio tra esseri umani che invece, se guidati dalle giuste intenzioni interiori (nel cuore intendo), avrebbero tutto ciò che serve per vivere, amministrato con saggezza da una natura previdente e antica, una antenata che vogliamo distruggere ma che invece dovrebbe essere onorata nella sua perfetta capacità di misurare.
TRAMA:
“Zhili Byli. Così avevano inizio le antiche fiabe russe”
Siamo in un paesino sul Lago Maggiore, in Svizzera. Una bambina che prende il nome di Da, come sì in russo, ha un problema di vista ma non vuole indossare occhiali, pertanto evoca una creatura magica in virtù della sua voglia di vedere e capire tutte le cose. Uno spirito viene immediatamente richiamato al fianco della bambina, una tigre maestosissima che può vedere solo lei e che con molta arguzia e anche una certa ironia, le spiega tutto quello che accade intorno e nel passato e la scorta anche nelle escursioni più pericolose. L’attaccamento della bambina alla nonna Sofia, di origini russe, fa si che la piccola abbia una curiosità e una spiccata immaginazione che le permettono di esplorare con energia il mondo circostante e di indagare sulle storie delle persone che abitano intorno alla sua famiglia. La convivenza con la tigre durerà a lungo ma non oltre il tempo necessario per trasformare la piccola e renderla capace in autonomia, di vedere le cose e gli altri e di compiere scelte coraggiose.
NOTE: Il dialogo in prima persona della tigre, che accompagna tutta la lunghezza del testo, è un escamotage che ha permesso all’autrice di mantenere un tono e una voce molto sopra le righe, anzi direi anche fuori, di lato e anche oltre il testo scritto. I continui ammiccamenti al lettore, che viene spesso incalzato e un pochino preso in giro dalla tigre, lasciano sorpresi per l’uso non comune di questa formula ma appena si entra in confidenza con la scrittura di Wanda Luban, cioè dopo pochi paragrafi, si accetta tutto anche le incursioni e le mescolanze che poi sono una cifra distintiva del luogo continuamente evocato dalla tigre.
Per completare questo modo di scrivere distintivo, il testo è corredato da una serie di ammiccamenti letterari, in particolare a Borges, tanto che una compagna di classe di Da porta come nome Aleph,
La piccola Da esplora, per questo il romanzo è un viaggio quasi di strada, un’avventura alla Stevenson dove una bambina si avventura dentro e fuori di se, coadiuvata dall’animale o spirito guida, cresce e impara a stare nel mondo, ad accettare se stessa e gli altri a volare sopra le cose e le parole.
“Le parole sono tensioni tra suoni e lettere, fra pesci sul filo del bucato che sta fuori, dopo aver dimorato dentro, per millenni a volte, al buio nero, quello che fa paura ai bambini.”
E ancora
” Un enorme pesce volante passò attraverso le viscere di Da, prese la strada dell’aria, e s’involò dalla finestra.
I nomi e le assonanze dei luoghi giocano tutti con il contesto nel quale si muove Da. Qui ho intravisto un accenno, mi pare, a Plauto e al suo nomen atque omen, perché dal nome si evince una premonizione e così anche nel romanzo Wanda Luban utilizza i nomi delle cose e delle persone, anche se nomi d’invenzione per far portare premonizioni, ceste piene di significati che amplificano così il loro ruolo nel racconto lasciando nel sottinteso parte della loro funziona narrativa.
Francesismi e parole meno comuni (non avrei usato due volte mesmerizzata, ma è un gusto mio e magari sbaglio) si inanellano nella variopinta babele di personaggi e aneddoti che vengono incastrati e ricamati intorno l’avventura di Da e la sua tigre. Monsieur Bonjour che in realtà non avrebbe voluto salutare nessuno. Il macellaio che cammina con i coltelli sguainati, il signor Kahn, enorme e abituato, per una ragione da svelare, a vestirsi da donna e la sua minuscola moglie che sembrano gemelli siamesi sempre attaccati, tanto da essere definiti come un’unica creatura: l’uomo-donna che per ignoranza in molti temono e rifuggono. Storie di animali e di umani si mescolano a lingue proibite, mentre sullo sfondo ammiccano alchimisti e boscaioli, cacciatori, sarti, scienziati, avvocati e imbonitori.
L’ultima parte, dove la tigre evoca il lago Bajkal, dove si intersecano canti e danze, specchi sciamanici e suoni di tamburo, sullo sfondo la neve da percorrere in verstre e una natura muta e partecipe: qui è dove le anticipazioni fanno presagire al lettore l’epilogo della vicenda ma la sorpresa finale sarà quella che ciascuno dovrà svelare e che l’autrice riserva con un tocco di tensione che spinge a voltare pagina sempre più velocemente mano a mano che la lettura avanza.
Un romanzo fuori dagli schemi e dalle trame che siamo soliti trovare in circolazione. Da leggere!

AUTRICE – Wanda Luban è stata stilista di moda a Parigi e giornalista in Svizzera. Oggi è psicoterapeuta specializzata in psicologia del profondo e ipnosi. Gli artigli di dio è il suo romanzo di esordio. Ha pubblicato nel 2011 una raccolta di poesie Archivio celeste con l’editore Acquaviva.