Edito con Feltrinelli – 229 pp.

Un romanzo sulle radici, la colpa e il ritorno.

La stanza delle mele, penultimo romanzo di Matteo Righetto, è una porta aperta sul suo universo narrativo fatto di paesaggi vissuti e interiorità scavate con delicatezza. Per chi ancora non conosce l’autore, è l’occasione per entrare in contatto con una poetica limpida, profondamente legata alla montagna, al silenzio, all’infanzia e alla memoria.

Righetto lo si intercetta facilmente su qualche sentiero di montagna, bastone e barba lunga e di solito con il suo cane ma anche sui social (instagram) dove cura un profilo instagram molto curioso, dove mescola pensieri e paesaggio, che poi sono i due elementi che dominano la sua poetica.

La stanza delle mele è il posto che abbiamo conosciuto tutti, quello in cui si annidano le paure dell’infanzia, il posto nel quale abbiamo paura di entrare eppure è quello al quale finiamo col tornare più spesso con i ricordi di adulti.

Una storia che nasce da un’ingiustizia

Fin dalle prime pagine, la voce narrante ci cala nella vita dura e aspra di Giacomo Nef, un ragazzo orfano, affidato ai nonni paterni insieme ai due fratelli, Celestino e Titta.

“Quando il nonno ordinava qualcosa con quel torno era meglio sbrigarsi” e infatti Giacomo “sapeva bene che gli ordini del nonno erano di due tipi: da eseguire all’istante o da fare immediatamentge.”

Una frase che dice tutto. Il nonno Angelo, figura dura e autoritaria, è la personificazione dell’austerità e della fatica; la nonna Frida, invece, incarna la resilienza femminile silenziosa, quella che sopporta tutto: fame, freddo, urla, botte. Giacomo cresce sotto il peso di un’autorità che non lascia spazio al sogno, ma è proprio questo che inizia a germogliare dentro di lui.

Trama che scaturisce da una scoperta.

Il punto di svolta è una scoperta brutale: Giacomo, mandato nel Bosch Negher a recuperare una roncola, trova un uomo impiccato a un albero. Quel ritrovamento, avvenuto lungo il Triòl dei Mòrc – il “sentiero dei morti” – segnerà la sua esistenza come un trauma silenzioso e persistente. Il dolore, la colpa e la separazione accompagneranno il suo percorso, ma anche una lenta e dolorosa crescita, che lo porterà a riscoprire le passioni, i luoghi e gli odori dell’infanzia.

Paesaggio come personaggio

In Righetto il paesaggio non fa da sfondo, ma partecipa attivamente alla narrazione. Siamo nei territori montani del Triveneto, in un ambiente segnato da boschi, vallate e sentieri che l’autore conosce intimamente.

Camminare nella scrittura di Righetto significa attraversare una geografia dell’anima, in cui ogni elemento naturale – un albero, un animale, un odore – è chiamato per nome, come se avesse una propria identità, una dignità narrativa.

Questa attenzione al dettaglio naturalistico conferisce alla scrittura una qualità quasi enciclopedica, ma mai pedante. Al contrario: accende la curiosità anche in chi non è abituato alla cultura di montagna, svelandone il linguaggio, i ritmi, i silenzi.

I luoghi diventano specchi interiori: il bosco non è solo un luogo fisico, ma il regno dell’inconscio fatto di paura e mistero; la stanza delle mele non è solo un ambiente domestico, ma uno spazio emotivo, dove si accumulano memorie.

Uno stile essenziale e poetico

La scrittura di Matteo Righetto è misurata, precisa, evocativa.
Le sue frasi, brevi e pulite, contengono mondi. I dialoghi sono scarni, ma densi di significato. Il suo stile fa parlare la terra, i silenzi, le cose non dette.

E proprio per questo, La stanza delle mele è un libro che rimane dentro.
Un romanzo di formazione sommesso e doloroso, che interroga il passato per trovare un varco nel presente.

Perché leggerlo

Se amate la letteratura che si nutre di paesaggio, che racconta i legami familiari senza retorica, che si sporca le mani con la terra e i sentimenti, allora questo libro fa per voi. Sicuramente associerei questa lettura ai libri di Cognetti Giù nella valle metto il link al romanzo che ho recensito qualche tempo fa, oppure Franco Faggiani di cui ho letto Non esistono posti lontani e il bellissimo L’inventario delle nuvole e che trovo particolarmente vicino a questa lettura recensita oggi non solo per l’ambientazione ma proprio per l’intenzione di questi autori nel combinare la trama con la descrizione del paesaggio.

Ma infine, di cosa parla La stanza delle mele? È la storia di un ragazzo che cerca di diventare uomo in un mondo che non gli ha insegnato ad amare, ma solo a sopravvivere.
Una narrazione intima e universale, capace di toccare corde profonde con la leggerezza della verità.

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Grazie per la lettura!
Luciana

AUTORE – Matteo Righetto


Matteo Righetto è docente di Lettere, vive tra Padova e Colle Santa Lucia (Dolomiti). Ha esordito con Savana Padana (TEA, 2012), seguito dai romanzi La pelle dell’orso (Guanda, 2013), da cui è stato tratto un film con Marco Paolini, Apri gli occhi (TEA, 2016, vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo) e Dove porta la neve (TEA, 2017). Per Mondadori ha scritto la “Trilogia della Patria” e, insieme a Mauro Corona, il “sillabario alpino” Il passo del vento (2019). La sua trilogia è diventata un caso letterario internazionale con traduzioni in molti Paesi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Germania, Olanda. Per il teatro ha scritto Da qui alla Luna, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto e portato in scena da Andrea Pennacchi, e per il web L’anno dei sette inverni. Nel 2019 ha ricevuto il Premio Speciale Dolomiti UNESCO. Per Feltrinelli ha scritto I prati dopo di noi (2020), La stanza delle mele (2022), Il sentiero selvatico (2024).