Edito con EINAUDI – 136 pp. Collana Supercoralli

Michele Mari, io lo conosco da poco, non di persona ovviamente, intendo che ho letto solo Leggenda privata nel dicembre del ’23 mentre seguivo un corso sul racconto familiare tenuto da Matteo Trevisani, con la #ScuolaHolden. Esperienza molto interessante, per quanto la modalità, lezione registrata, un pochino spersonalizza il contenuto e ti rende l’esperienza molto distaccata, anche se molto utili gli spunti che il docente ci ha potuto fornire e che ho messo da parte.

Leggenda privata mi aveva stupito, si, per la feroce introspezione dell’autore ma soprattutto per la lingua totalmente fuori tempo, accurata, piena di spunti di riflessione e soprattutto capace di andare a farmi aprire il vocabolario. Credo non ci sia niente di più bello di quei libri che hanno il potere di farti evolvere il lessico, almeno per noi comuni mortali che usiamo sempre le stesse parole tristanzuole e spesso colorite da un unico aggettivo: strano. Lo detesto. Io che ne abusavo, oggi invece di dire strano cerco qualsiasi altra parola, ma strano no: un piccolo passo avanti nella mia consapevolezza linguistica (poca cosa).


Detto questo in Locus Desperatus si incontrano alcune delle sue caratteristiche peculiari, intendo da quanto ho capito, vista la mia limitata dimestichezza con l’autore.

I punti che mi sembra di aver colto, per assonanza, sono di certo l’ossessione per gli oggetti, quasi una loro personificazione, un certo livello di nevrosi accompagnato alla ritualità dei gesti oltre che dal distacco dalle cose e dalle relazioni terrene, la madre, la misoginia, un’ ampia tendenza all’introspezione, dialoghi sommessi e possibilmente sparuti. Oltre a queste consuete tematiche tuttavia, l’intento è anche quello di esplorare, pur mediante l’utilizzo di una lingua attuale quanto una ribalta Luigi XV, dei mondi molto alternativi e anche il subconscio. Insomma in questo Locus Desperatus, ovvero la casa nella quale tutti consumiamo le nostre esistenze, spesso vuote, Mari ci fa vedere qualcosa che c’è ma non si vede, la nostra menzogna e forse la follia che sfioriamo ogni minuto. Indugiamo nel mondo, veri o finti? Doppioni di noi o autentici? Ve lo dico a me, personalmente, dopo questa lettura, il dubbio resta. Stile matrix.

Il tema che subentra in questa nuova prova letteraria è quella degli oggetti come altro da se oppure oggettivazione di se, nel senso che nel possedere libri, quadri, oggetti (targhette!!) raccogliamo il tempo vissuto in una linea continua, proprio come definita in geometria: senza spessore o profondità, un semplice susseguirsi di punti-oggetti che delimitano tempo e spazio offrendoci un’idea astratta di noi, quella che vorremmo far vedere agli altri, sa va sans dire, non vedono. Anzi, il romanzo si spinge fino a trasformare i timori in presenze, un complottismo metafisico che trasforma la realtà nella quale è immerso il protagonista. Nuove forze ultra umane e ultra psichiche si impadroniscono della realtà, non lasciano spazio alla vita del se che si presuppone originale, confinato in un mondo parallelo fatto di pura osservazione e dibattimento.

Siamo le nostre cose oppure le nostre cose siamo noi? E di conseguenza siamo noi ad appartenere a loro e ad esserne osservati? Interessante prospettiva, i libri che osservano il protagonista ridotto a conversare con un polimero ( ma da dove gli sarà venuta questa idea a Mari?).

Non lo so se mi è piaciuto questo romanzo, non ho ancora capito. Penso comunque di si per varie ragioni legate alla forma e all’invito all’introspezione, nascosto tra le parole. Un romanzo breve che scorre veloce come il tempo che ci resta, implacabile e crudo, a tratti stomachevole al limite del disgustoso. Mari riesce a essere anche così, anche vagamente cattivo ed è interessante e giusto vedere attraverso quel pertugio, non che questa attività sia un esercizio di bellezza, almeno io non lo vedo necessariamente così, non in questo libro.

Cosa avrete capito di questa recensione, non ne ho idea, ma se vi ho messi scomodi era quello che volevo, perché in fondo Mari fa anche questo non da niente di quello che il lettore vorrebbe, pur essendone deliziosamente capace.

AUTORE: MICHELE MARI

I libri di Michele Mari (Milano 1955) sono Di bestia in bestia (Longanesi 1989; Einaudi 2013), Io venía pien d’angoscia a rimirarti (Longanesi 1990; Marsilio 1998; Einaudi 2016), La stiva e l’abisso (Bompiani 1992; Einaudi 2002 e 2018), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993; Einaudi 2004), Filologia dell’anfibio (Bompiani 1995; Laterza 2009; Einaudi 2019), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997; Einaudi 2009), Rondini sul filo (Mondadori 1999), I sepolcri illustrati (Portofranco 2000), Tutto il ferro della torre Eiffel (Einaudi 2002 e 2020), I demoni e la pasta sfoglia (Quiritta 2004; Cavallo di Ferro 2010; il Saggiatore 2017), Cento poesie d’amore a Ladyhawke (Einaudi 2007), Verderame (Einaudi 2007 e 2023), Milano fantasma (edt 2008, in collaborazione con Velasco Vitali), Rosso Floyd (Einaudi 2010), Fantasmagonia (Einaudi 2012 e 2022), Roderick Duddle (2014 e 2016), Leggenda privata (Einaudi 2017 e 2021), Dalla cripta (Einaudi 2019), La morte attende vittime (Nero 2019), Le maestose rovine di Sferopoli (Einaudi 2021) e Locus desperatus (Einaudi 2024). Per Einaudi ha anche curato e tradotto La Macchina del Tempo. Fra le sue traduzioni, opere di Stevenson, Wells, Crane, London, Orwell, Steinbeck, Gombrowicz.

Fonte: www.einaudi.it